top of page
friulana.png

La Friulana

Questo breve racconto pubblicato tempo fa in forma più ridotta nasceva da un’amara rivisitazione di eventi della storia italiana poco conosciuti e soprattutto rigorosamente taciuti nell’insegnamento nelle scuole. 

Oggi, gli uomini politici italiani ed europei viaggiano molto in Africa, nell’impossibile illusione di poter disfare, a proprio beneficio, le conseguenze catastrofiche delle colonizzazioni. Le grandi potenze continuano ad avere fame delle ricchezze del sottosuolo dell’Africa, e di nuovo vediamo mercenari e armi volare in quel meraviglioso e sfortunato continente ad alimentare incendi e seminare miseria, emigrazione e morte di innocenti.

Certo, nella ingloriosa e oscena gara del colonialismo europeo, l’Italia non ha un posto di primo piano; tra gli europei, i francesi, i belgi, gli spagnoli e i portoghesi e gli inglesi detengono palmarès ben più consistenti e statistiche ben più imbarazzanti. Ma la vergogna è comune, indelebile. E, della vergogna italiana, gli italiani non vogliono parlare.

 

 

​


Sandra non ha memoria della sua infanzia. Il primo ricordo risale a quando aveva undici anni, a un giorno preciso. Come fosse nata in quel momento, in una luce abbagliante riflessa dal sole nel mare libico, quando la nave partita da Trieste attraccava nel porto di Bengasi. Sandra Dri sbarcava insieme ai suoi genitori, contadini originari di Sequals, provincia di Pordenone. Era la sola figlia. I fratelli e le sorelle più piccoli di lei, quattro, erano morti bambini. 
Nella memoria di Sandra, la vita di prima dello sbarco in Africa italiana, si è cancellata. Non ricorda la miseria nera né la paura del flagello che imperversava nelle campagne. Chiamato dagli anglosassoni la malattia delle “four Ds” le quattro D: diarrhoea, dermatitis, dementia, death. Dagli spagnoli, molto poeticamente, “mal de la rosa”, per la forma delle piaghe che marchiavano la pelle. “Pelle agra”, in italiano. Era la malattia che aveva dato origine al mito dei vampiri, per l’impoverimento del sangue e per l’orrore della luce del sole, intollerabile dalla pelle bruciata.

Nell’Africa conquistata dagli italiani, la ex-povera famiglia di Sandra riceve casa, terra, operai per lavorare la terra, servi. A ogni pasto si ringrazia Dio per il fascismo.
Sandra impara l’arabo. Al mercato ha la testa coperta, capelli e occhi neri, non la notano, è una ragazzina araba. Ascolta le donne che parlano. Mette insieme, così, frammenti di racconti. Scopre che la gente che viveva nelle terre che ora sono di proprietà della sua famiglia e degli altri coloni italiani era stata deportata in campi di concentramento nel mezzo del deserto. Era successo a migliaia e migliaia di famiglie. Decine di migliaia erano morti di fame come topi. I tentativi di fuga erano puniti con esecuzioni sommarie. I militari italiani sanno essere inflessibili. La madre di Sandra dice che questi racconti sono falsi. Sandra vuole credere a sua madre. E smette di ascoltare le donne al mercato.

A diciotto anni si innamora. È un bell’uomo, un ufficiale della PAI, la Polizia dell’Africa Italiana. Carattere forte, maniere forti. Dolcissimo con lei. Si chiama Aldo Ruggeri e per conquistarla le canta romanze d’opera. Irresistibile, è lombardo, di Cremona, giovanissimo era già ardito nel Fascio di Combattimento della sua città. Nell’ottobre del 1922, prima ancora della Marcia su Roma, il nostro Aldo aveva partecipato accanto a Roberto Farinacci, il futuro importante gerarca chiamato l’antigrammatico (si era laureato comprando una tesi già scritta), all’assalto alla Prefettura e alla presa della città. Aldo Ruggeri è poi diventato un ottimo militare, un fascista “con le palle” che nella costruzione di un’Italia perfetta liberata dai parassiti sosteneva con il suo mentore che “Se non è sufficiente la scopa, si adoperi la mitragliatrice!” 
Aveva seguito “il selvaggio Farinacci” in Etiopia nella 15° Squadriglia da Combattimento “La Disperata”
Gli italiani conquistano infine l’impero coloniale su devastazioni, lanci di bombe a irpite e 275.000 cadaveri di etiopi. 

Aldo non era con lui, quando “il selvaggio Farinacci”, medaglia d’argento al valor militare, ha perso (eroicamente) una mano per una bomba (non di irpite questa, altrimenti le cose sarebbero andate diversamente) che gli è scoppiata tra le dita (e ha ricevuto, per questo, encomi e vitalizio). Quando Aldo viene a sapere che il suo “eroe” ha mentito e che la bomba non era diretta agli etiopi bensì ai pesci del laghetto nella regione degli Amara che non volevano abboccare, Aldo lascia il ras di Cremona ed entra nella Polizia dell’Africa Italiana. Ed è a questo punto che incontra Sandra Dri.
Con lei, Aldo è un angelo.
“…. Ma per fortuna è una notte di luna--- e qui la luna l’abbiamo vicina. Aspetti signorina…” intona il bel Aldo, a squarciagola, portandola con il sidecar tra le dune del deserto. Trovano una oasi. All’ombra delle palme da datteri: “Bella siccome un angelo, in terra pellegrino. Fresca siccome un giglio che s’apre in sul mattino…” lui gorgheggia, mentre la fa sedere in riva a una sorgente e le carezza le caviglie. 
Sandra gli regala tutto di sé, il sorriso senza remore, gli occhi che luccicano per una misteriosa ma piacevole voglia di piangere, la sua carne, bianchissima là dov’era coperta dai vestiti, la sua rada peluria, la sua verginità. Si sposano. Aldo lascia la polizia e va a dirigere un’impresa di costruzioni a Addis Abeba. Il salto dagli ideali al denaro, quando l’occasione c’è, e succulenta, è invitante e facile. E voi direte meglio così, perché gli ideali di Aldo Ruggeri erano, a dir poco, detestabili. Sandra resta incinta. Aldo è felice. La copre di regali. Nasce Giovanni. È orgogliosissimo, Aldo, del figlio maschio. Ma è sempre più assente da casa. Il lavoro, dice lui. Sandra sa che Aldo la tradisce, i mariti tradiscono, la vita tradisce ma ci sono i regali e c’è una vita da signora per lei che era nata contadina affamata. C’è, soprattutto, il figlio. Giovanni è tutto, per lei. E c’è il sole e i fiori profumatissimi del gelsomino che con l’ibisco e la coccinea invadono il bel giardino che circonda la sua casa bianca. Addis Abeba vuole dire proprio “nuovo fiore” e il nuovo fiore di Sandra, moglie sottomessa che sopporta, che sorride ancora, è suo figlio. Giovanni è bello. Giovanni è la sua felicità. 

​

Un giorno, Sandra ode delle esplosioni. Aldo rientra a casa in preda a una furia incontenibile. C’è stato un attentato durante una cerimonia per celebrare la nascita di Vittorio Emanuele di Savoia. Due ragazzi della resistenza etiope sono penetrati con la dinamite nel giardino del Paradiso dei Principi, il palazzo del viceré italiano Rodolfo Graziani, governatore generale e capo di tutte le forze armate presenti in Africa Orientale.
Aldo, che non era alla cerimonia ma nei suoi uffici commerciali, torna a casa urlando e raccoglie tutte le armi che tiene chiuse in un armadio. Parla concitato. Quanti morti? Non si sa, qualcuno di sicuro. Quanti feriti? Non si sa, molti di sicuro. Sandra gli dice che bisogna capire che “questa gente non accetta che gli abbiamo rubato la terra”. Aldo la fissa e a Sandra pare che gli occhi del marito la attraversino da parte a parte. Che cosa stai dicendo? La afferra e la trascina con sé.

​

Tenendo Sandra con la mano sinistra perché impari una lezione di storia, Aldo uccide con la destra. Nelle strade di Addis Abeba, bande di italiani si sparpagliano armati di tutto, armi da fuoco, baionette, sbarre di ferro. Massacrano, frantumano, puniscono, macellano i maledetti arabi. Donne e uomini. Quando Sandra vede Aldo sparare a una donna che fugge con un bambino in braccio, strappa dalla cintura del marito una delle pistole e gli scarica il caricatore alla tempia. Poi scappa. Evita un italiano che cerca di fermarla. Si precipita a casa. Afferra il figlio, prende l’auto e via, con il bambino. Raggiunge nella notte il monastero di Debra Libanòs della chiesa ortodossa etiope, a circa 80 chilometri dalla città. Costruito nel XIII° secolo tra grotte e sorgenti d’acqua circondate da acacie e eucalipti, conta ora un migliaio di tucul abitati da monaci, preti, diaconi, studenti di teologia, suore. Una città-convento. I religiosi nascondono nelle grotte donne, uomini e bambini della regione, in fuga dai massacri. Sandra e Giovanni con loro. Sono migliaia. 
Proprio quel monastero, sospettato dalle autorità italiane di proteggere e favorire i ribelli, viene circondato dall’esercito al comando del generale Pietro Maletti, che ha l’ordine di annientare tutto il clero. Maletti esegue. Monaci e diaconi, suore e civili vengono falciati con le mitragliatrici pesanti. Per sgomberare le grotte che sprofondano nella montagna, usano le bombe a mano. I corpi esplodono nel buio. Circa duemila persone vengono massacrate a Debra Libanòs, la metà delle quali preti, monaci, diaconi; gli altri sono popolazione innocente e inerme. In seguito a questa operazione, Maletti riceverà la promozione al grado di generale di divisione per “meriti eccezionali”. I fascisti sanno riconoscere i “meriti eccezionali”. I fascisti non perdonano.

​

Sandra si trascina sempre più giù, in fondo, nel buio di una grotta dove le grida e le esplosioni si odono, sì, ma lontane.
Stringe Giovanni contro il proprio seno, con tutta la forza che le rimane. Lo vuole soffocare. Infine, la luce. Sandra vede un’onda di fuoco scendere veloce e avida verso di lei lungo la gola della grotta. In quell’attimo ricorda tutto della sua infanzia, in Friuli. Ode le urla delle sue piccole sorelle e dei fratelli che, uno dopo l’altro, aveva tenuto tra le sue braccia mentre la pellagra li bruciava. Nell’attimo stesso in cui Sandra ricorda, le fiamme avvolgono lei e il suo bambino.

bottom of page